NAPULÈ I mille colori di Pino Daniele
Questo lungo racconto è un vero e proprio resoconto fatto a se stesso quando Pino ha cercato di ritrovare cose, persone, avvenimenti che aveva lasciato indietro, sempre per la sua inarrestabile smania di nuovo. La paura di non avere abbastanza tempo lo accompagnava da sempre e dopo la scoperta della malattia ha preso il sopravvento, spingendolo ad affrettare ogni cambiamento. Una immaginaria narrazione raccolta con amore come se fosse l’esito di una lunga conversazione fatta davanti al camino dell’albergo che lo ospitava a Courmayeur prima dell’ultimo concerto nella notte del Capodanno 2015. Il romanzo di una vita che comincia in un piccolo e cadente basso della sua Napoli e che meglio di tante altre storie descrive questa città e il suo popolo così singolare, attraverso la sua famiglia, le amicizie, i primi successi, i suoi amori e la passione per Eduardo De Filippo che ne è stato in un certo senso la guida e l’esempio da seguire. Amori e passioni così forti da costringerlo anche ad allontanarsene per poter meglio sopravvivere alle bizze del suo cuore malato. Aveva sempre saputo che non sarebbe mai diventato o’ vicchiariello ca chiagnenno aspietta ‘a morte, eppure pensava di avere altro tempo. È quello che pensiamo tutti, in fondo, provando inutilmente a rimandare, con la sola forza del desiderio, una decisione finale che non spetta a noi prendere. Quando arriva il tempo, il nostro tempo, vorremmo avere la possibilità di guardare indietro per recuperare cose, persone e sentimenti che abbiamo trascurato fino a dimenticarle, per rimettere tante cose al loro posto. Pino, a modo suo, ci aveva provato, se ci pensate tutti i suoi ultimi anni erano stati dedicati a riannodare quei fili che aveva lasciato sciogliere seguendo il corso troppo veloce di una vita fatta di tante cose diverse. E se alla fine ha lasciato ancora qualcosa di irrisolto, qualcosa che anche dopo aver letto questo libro non avrete capito bene, non importa. Tanto lo sapete già. Quello che conta è o’ sentimento.
COME PESCARE, CUCINARE E SUONARE LA TROTA
Francesco è un giovane pianista alle prese col suo primo vero concerto: il Quintetto “La trota” di Schubert ma le prove con gli altri musicisti diventano un rito di passaggio tra l’adolescenza e l’età adulta. Come pescare, cucinare e suonare la trota, è un racconto di formazione ma anche un’occasione per riflettere sul ruolo della musica classica (e non) nel nuovo secolo tra mercificazione e arte, mestiere e urgenza.
QUANDO SUONAVO IL JAZZ
Sebastiano 'Seb' Mariani è un ex jazzista finito a suonare il karaoke in un locale americaneggiante della periferia barese. La sua vita si consuma nel caos disperato, nella variopinta fauna metropolitana, nelle canzoni improbabili cantate.Ogni sera da maldestri cantanti dell'ultimora, e nel rimpianto della sua vita perduta, quando suonava il pianoforte nei migliori club d'Italia. Ma cosa lo ha strappato al jazz? I ricordi piovono giù a valanga, le note di Bill Evans, ma anche quelle di Beethoven (che probabilmente soffriva dello stesso male di Seb), sono la vera colonna sonora della sua vita perduta. Ma come fuggire dall'infima prigione karaoka? Come riprendersi la vita? All'improvviso, un nuovo progetto, la luce della speranza e una lunga, lunghissima notte di Capodanno passata a riannodare i fili del passato, con tutti gli imprevisti del destino in agguato. E un lieto fine pure venato di amarezza. O l'amarezza lenita da una sorta di lieto fine.
IL COLORE TURCHINO
Tra gli anni dell'Unificazione italiana e la vigilia della guerra di Libia scorrono le vicende di una famiglia siciliana di patrioti e di imprenditori illuminati. Gioachino, Costanza e i loro figli sempre al fianco di Garibaldi e Mazzini nelle battaglie prima militari e poi politiche, traducono il loro impegno anche in coraggiosi investimenti nella miniera di zolfo di loro proprietà. “Altrimenti sono un ipocrita, [..] il solito pigro possidente che in salotto professa libere idee di giustizia e di progresso e che poi chiude un occhio e anche l’altro sul più odioso e colpevole degli sfruttamenti”. Il lucido pensiero paterno riverbererà anche su Aloisa, l'unica bene amata figlia femmina (“una pennellata fiamminga tra i ricci scuri dei fratelli” ) che per talento artistico e personalità è destinata a un singolare cammino esistenziale. Drammatici accadimenti infatti la separeranno, già moglie e madre, dalla sua Isola, per condurla per sempre a Napoli. Nel fermento della fascinosa metropoli d'inizio Novecento, accolta con considerazione e affetto nei più vivaci luoghi di cultura (dalla villa caprese di Axel Munthe alla biblioteca dei Girolamini, dal salotto della Duchessa d'Andria ai circoli repubblicani), Aloisa potrà infine comprendere il senso stesso della sua vita e la forza rigeneratrice della sua vocazione musicale. Dalla Sicilia, tuttavia, ha portato con sé una statuetta fittile di Persefone, la fanciulla divina rapita nelle acque del lago che sorge nei pressi della casa di famiglia, icona potente e viatico che Gioachino, con preveggente sapienza, ha voluto donare alla sua figliola coraggiosa.
FESTIVAL. Perché Sanremo è Sanremo
NIENT’ALTRO CHE UN NOME
DALLA.Avrei solo voluto girare il cielo
CANTO A SILENZIO. ANNA MAGDALENA BACH
DEBUSSIENNE, Dodici racconti per dodici preludi
Il genere del “racconto breve”, tanto gradito alla cultura anglosassone, non è molto comune da noi: in “Debussienne” la misura breve del racconto, come conferma la stessa Pilato, è suggerita dai pochi minuti in cui si svolge il brano musicale; ma, stabilita la cornice, l’Autrice dà prova di notevole scaltrezza nel passare dall’immagine istantanea all’articolazione di un racconto, con la sua azione ridotta all’osso, i suoi antefatti, i caratteri delle figure; senza trascurare i finali “aperti”, lasciati in sospensione, secondo un altro stimolo ricevuto dallo stile mai affermativo di Debussy. I racconti della Pilato, ambientati per lo più nel nord della Francia o nel prediletto mezzogiorno d’Italia, si sviluppano da alcuni temi dominanti: cerimonie luttuose o festevoli, distacchi, ricordi, amori immaginati, amori goduti a dispetto di differenze di età o di stato sociale; e poi ancora inquietudini, speranze, solidarietà, temi e stati d’animo screziati di delicate e diverse sfumature.
GABER. L’ITALIA DEL SIGNO G
Siamo pronti a tornare indietro nel tempo, a quando tutto è cominciato per lui e in fondo per noi, perché tutti veniamo da quello che è stato, anche se quello che è stato non torna più. Chi quegli anni li ha vissuti e conosciuti da vicino potrà rimettere in ordine pezzi sparsi e confusi dal succedersi della moltitudine di eventi personali e collettivi. Chi invece, per motivi generazionali, ne ha soltanto sentito parlare scoprirà come la storia di un artista e quella di una intera collettività siano sempre collegate alla sequenza di episodi fondamentali che ne mutano il contesto. Una sola raccomandazione, se volete che questo viaggio sia davvero rivelatore mettete da parte tutto quello che è legato ai vostri ricordi personali e perdetevi nella lettura del racconto.
DA BACH A RACH Te la do io la musica
In questi racconti, scritti con l’umorismo che lo contraddistingue, Fulvio Frezza inventa un nuovo approccio a quella che tutti chiamano Musica Classica. Bach e tutti gli altri grandi del passato entrano nella vita di tutti noi, scendendo dal piedistallo che li teneva lontani e condividendo le nostre stesse passioni, la nostra quotidianità. Le loro vite si intrecciano incredibilmente con tanti personaggi della nostra cultura popolare e questo ce li rende per la prima volta amici. Grandi pianisti del passato, come Gould, Horowitz, Rachmaninov e Rubinstein, diventano protagonisti di storie che ci portano in mondo magico e fantastico, nel quale il lettore può finalmente immedesimarsi in chi li ha davvero conosciuti e frequentati. Dopo aver letto questo libro, ricco anche di consigli di ascolto e scelte musicali, la Musica, anche per voi, non sarà più la stessa.
FURONO BACI E FURONO SORRISI. 10 anni di Fabrizio De Andrè
Questo libro è il racconto di una rinascita, quella che ha permesso a un giovane cantautore dalla vita sregolata e anarchica di affermarsi definitivamente nel frenetico mondo musicale degli anni sessanta. È anche il racconto di uno smisurato amore e di un disperato bisogno di armonia, sia pure vivendo, come sempre, in direzione ostinata e contraria. I primi anni di carriera sono costellati di canzoni in cui l’amore è al centro della sua poetica: dall’amore libero di Bocca di Rosa a quello ferito di Marinella, da Canzone dell’amore perduto e Amore che vieni, amore che vai a quello primitivo per la parte più nascosta e degradata della sua Genova di Città Vecchia e Via del Campo. La misericordia con cui volge il suo sguardo agli ultimi, a quelli che sono rimasti indietro, è la stessa che gli serve per rinascere ogni volta, fino a quando non imparerà che per trovare pace deve perdonarsi, prima ancora di perdonare. Fino all’ultimo inverno di venti anni fa, arrivato troppo presto, quando aveva ancora tanto da dire a sé stesso, prima ancora che a noi.